(1979) – Vasco Rossi – Non siamo mica gli americani!

Articolo di Betelgeuse

Il giovane Vasco Rossi ha un album alle spalle, “Ma cosa vuoi che sia una canzone”, dallo stile vagamente battistiano e comunque piuttosto lontano da quanto farà in seguito, uscito nel 1978, e dal discreto riscontro commerciale, avendo sfiorato la top 20. L’album era stato preceduto dal 45 giri “Jenny/Silvia”, l’anno precedente, dal riscontro minore. La formazione artistica di questo nuovo cantautore emiliano, era stata corroborata, verso la metà del decennio, da una fattiva frequentazione delle radio private, dove ha la possibilità di entrare in contatto con alcuni nomi già in vista, sia del mondo dei musicisti di professione, sia dei giornalisti musicali, come Red Ronnie. Da queste frequentazioni, e dalla sua naturale predisposizione (è già un discreto chitarrista) il passo che lo porta a comporre le prime canzoni è breve.

Un secondo album era la naturale e logica prosecuzione di un inizio di carriera promettente, che necessitava soltanto di una messa a fuoco per quanto riguarda lo stile musicale e dei testi, con relativa ricerca di una maggiore originalità. E, in effetti, con questo disco vengono messe maggiormente a fuoco tematiche, linguaggio, sonorità, grazie anche a un pool di collaboratori scelti sapientemente, che come lui decidono di osare. Si affida ad Alan Taylor alla produzione, mentre come deus ex machina agli arrangiamenti sceglie Gaetano Curreri, ma gli “Stadio” sono rappresentati anche dal batterista Giovanni Pezzoli, mentre assai tonica si dimostra la presenza (ora e in futuro) del talentuoso chitarrista Maurizio Solieri.

L’album, che esce il 30 Aprile 1979, offre 9 tracce, piuttosto variegate, dal punto di vista dei testi e della struttura musicale.

La prima canzone si intitola “Io non so più cosa fare”, e inizia con un accompagnamento di chitarra acustica che dà l’occasione a Vasco di declamare un testo che racconta delle nevrosi e delle insicurezze a letto con la compagna, dopo le esplicite avances di lei. La canzone contiene anche fasi con alternarsi di cantato e parlato, ed è caratterizzata da ottimi contrappunti di chitarra solista, soprattutto negli ultimissimi minuti. Buffi gli ultimi 20 secondi del brano.

Segue “Fegato, fegato spappolato” canzone semi-demenziale, in cui si comincia a captare il percorso che poi porterà a “Vita spericolata”. Viene scandagliato, con lucido sarcasmo, certo perbenismo di provincia di quegli anni, conditi da una dose di sano e ironico menefreghismo che conduce a una certa trascuratezza, come sottolineato dalla madre del protagonista che gli dice che ha una faccia che fa schifo, consigliandolo di farsi vedere dal dottore, Curiosa la fine del brano, che chiude un cerchio, con una citazione addirittura dei Sex Pistols.

Testo filosofico-intimista nel terzo brano, “Sballi ravvicinati del terzo tipo”, sostenuto per tutta la sua durata da un accompagnamento acustico, protagonista una chitarra insistente e monotona, e qualche effetto, per la verità abbastanza misurato e discreto. Da ascoltare sommessamente.

Segue la divertente e teatrale “(Per quello che ho da fare) Faccio il militare”, pieno di urla, bizzarri “stop and go”, rumori ed effetti vari (usando anche la voce), parti fischiate, e frasi declamate anche in napoletano. Un modo senz’altro alternativo di descrivere il servizio militare. Dal punto di vista musicale, una timida chitarra acustica è la protagonista.

Le stesse caratteristiche si riscontrano nella breve reprise del brano, che viene in sequenza.

Bello il rock ritmatissimo de “La strega (la diva del Sabato sera)”, efficacissimo ritratto di una ragazza di provincia, piuttosto disinibita. In risalto la chitarra elettrica, con pregevoli contrappunti, mentre il ritmo, piacevole e brillante, si mantiene costante per tutta la durata della canzone. Buffissimi i coretti che insaporiscono la canzone, senz’altro riuscita e piacevole.

Totalmente all’opposto è il tema della canzone successiva, la famosa “Albachiara”, una delle canzoni più famose della carriera di Vasco, eseguita anche oggi negli stadi, di fronte a centomila persone entusiaste, che aspettano questo momento come uno dei momenti “clou” degli show. Qui si descrive una ragazza timida, riservata, studiosa, ma forse tormentata, a volte, da “pensieri strani”, come da testo, e forse desiderosa, ma titubante, di uscire dal proprio guscio. Con Albachiara, Vasco arriva al grande pubblico: i fans più grandicelli si ricorderanno, ad esempio, una delle sue prime apparizioni in televisione, quando fu presentato nientemeno che da Walter Chiari (quindi due mondi diversi a confronto), e cantò, appunto, Albachiara in studio. Un episodio che contribuisce a mitizzare la canzone ancora di più. Canzone che, musicalmente comincia in modo sommesso, per poi evolversi in atmosfere più movimentate e più propriamente rock.

Quindici anni fa” è un’altra gran bella canzone, seppure dall’andamento piuttosto regolare. Presentata da un video piuttosto famoso, con Vasco seduto a terra in una stanza vuota con, sullo sfondo, una chitarra (che però non suonerà). Molto bella la coda, di ottima matrice progressive, genere che Vasco userà, a volte, anche in futuro, seppure con parsimonia.

Conclude l’album la curiosa “Va bè (se proprio te lo devo dire)”, una specie di mix tra atmosfere “barbeshop quartet” di inizio secolo, e stile simile a quello di Enzo jannacci. Con il trombone in evidenza.

Il successo oceanico arriverà dopo qualche anno, ma il disco ha comunque un buon riscontro commerciale.

Da notare che, successivamente, l’album cambiò titolo e copertina, con il semplice titolo di “Albachiara”, come il brano portante.

Articolo di Betelgeuse

Lascia un commento